Il Tribunale Penale di Pesaro ha recentemente condannato per esercizio abusivo della professione la titolare di un centro di elaborazione dati (CED) che per accreditarsi aveva dichiarato il possesso del titolo di Consulente del lavoro. La pronuncia del giudice marchigiano, nel collocarsi nel solco giurisprudenziale consolidato che punisce penalmente chi millanta il possesso di titoli professionali o iscrizioni ad albi, ha altresì riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in capo al Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Pesaro-Urbino, che si era costituito parte civile nel procedimento. Di questo argomento tratta il Parere n. 4/17 di Fondazione studi dei Consulenti del lavoro. La sentenza ribadisce princìpi affermati e condivisi anche dalla giurisprudenza di legittimità nell’inquadrare la riserva di legge dell’esercizio delle professioni ordinistiche e punire severamente ogni abuso.
Di particolare interesse l’accoglimento dell’istanza risarcitoria avanzata dal Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro di Pesaro-Urbino, che si era costituito parte civile nel procedimento vantando un diritto risarcitorio in relazione al danno patrimoniale e non patrimoniale.
L’accoglimento della domanda si fonda su princìpi non sconosciuti in materia, per i quali, il danno risarcibile all’Ordine non è solo quello economico-patrimoniale causato dalla concorrenza sleale subìta dai professionisti iscritti, ma anche quello non patrimoniale, derivante dall’interesse – il cui presidio è prerogativa fondamentale del Consiglio dell’Ordine – che la professione (nello specifico di Consulente del lavoro) sia esercitata da soggetti muniti dei requisiti richiesti dalle norme cogenti per l’esercizio della professione e che dal mancato rispetto di tali fondamentali regole possano derivare ricadute pregiudizievoli per i professionisti legittimamente abilitati all’esercizio. Ciò ad evitare altrimenti il pregiudizio materiale e di immagine per la categoria professionale della quale l’Ordine è organo e strumento portatore degli interessi esponenziali.
Il diritto risarcitorio è ritenuto ammissibile quando non abbia come unico fondamento l’asserita lesione degli interessi morali della categoria, ma anche il pregiudizio di carattere patrimoniale che, sia pure indirettamente, sia derivato ai professionisti regolarmente iscritti dalla concorrenza sleale posta in essere in un determinato contesto territoriale dall’autore del fatto.