I 3 permessi mensili attribuiti ad un genitore per assistere un disabile, non possono essere ridotti a 2 in virtù del fatto che il lavoratore svolge un part-time. Così la Corte di Cassazione ha emesso la sentenza n.4069/18 con la quale ritiene illegittime le istruzioni Inps sulla materia.
La legge n.104/92 riconosce al lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il 2° grado, o entro il 3° grado qualora i genitori, o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età, o siano anche essi affetti da patologie invalidanti, o siano deceduti o mancanti, il diritto a fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito anche in maniera continuativa.
Nel caso specifico il lavoratore svolgeva un part-time articolato su 4 giorni alla settimana per 6 ore al giorno.
L’art 4 del Testo unico sul part-time, dopo aver sancito il principio di non discriminazione in base al quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno ed elenca i diritti del lavoratore part-time. In particolare, stabilisce che deve beneficiare della medesima retribuzione oraria, del medesimo periodo di prova e di ferie annuali, della medesima durata del periodo di astensione per maternità e congedi parentali, del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia e dei diritti sindacali. La norma prevede anche che il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità.
Tenuto conto, pertanto, delle finalità della legge n.104/92, la Corte conclude che in questa prospettiva è innegabile che la ratio dell’istituto consiste nel favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare. Essendo l’interesse primario quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure, il diritto ad usufruire dei permessi costituisce un diritto del lavoratore non comprimibile e da riconoscersi in misura identica a quella del lavoratore a tempo pieno.